"NODI"-In The Loop
- bookingonair
- 12 giu
- Tempo di lettura: 2 min

“NODI” è quel tipo di canzone che ha qualcosa di molto più simile a un esperimento percettivo: una forma di immersione acustica totalizzante, costruita per essere vissuta con la stessa attenzione che si richiede quando si cerca di ascoltare davvero un’altra persona. L’atmosfera – densa, liquida, decisamente notturna – è quella di uno di quei momenti sospesi in cui il mondo non si spegne ma si dissolve, e con esso anche i confini tra cosa desideriamo e cosa ci è concesso desiderare.
Valentina e Alessandro, attraverso un R&B elettronico la cui superficie patinata nasconde complessità strutturali sottili, quasi impercettibili se non ci stai davvero dentro, compiono un gesto che è al contempo estetico, affettivo e teorico: ti portano a camminare in punta di piedi dentro uno spazio emotivo fatto di piccoli scarti e vibrazioni, dove ogni “nodo” è, letteralmente, un luogo di tensione interna tra parti di sé che non vogliono – o non riescono – a comunicare. Ed è proprio lì, in quella tensione, che succede qualcosa.
La musica, in sé, funziona come un organismo vivo: i synth non accompagnano ma respirano, pulsano, si insinuano – e a tratti sembrano quasi reagire a ciò che tu stesso provi mentre ascolti. Non si tratta solo di melodia o atmosfera, ma di una sorta di complicità percettiva. E quando il battito della traccia si fonde con il tuo – sì, fisicamente, se sei in cuffia – l’esperienza diventa meno simile all’ascolto e più simile a un incontro. Uno di quelli che mettono a nudo, non in senso erotico, o non solo, ma in senso proprio esistenziale.
E allora “NODI” diventa discorso – o, meglio, metadiscorso – sui corpi, sui desideri, sull’assenza di vergogna. È un brano che non ti spiega come devi essere, ma che ti autorizza, nel modo in cui solo l’arte fatta bene può farlo, a esistere anche nelle parti meno gestibili, più caotiche, più intime. E in questo senso non è tanto un atto musicale, quanto un’esperienza filosofica – un invito a stare, per una volta, senza filtro, dentro ciò che c’è.
Anche la dimensione visiva, il “film” che accompagna il brano, funziona come una mappa simbolica del lavoro che i due artisti hanno fatto: niente è casuale, ogni dettaglio – anche il più apparentemente marginale – è lì per una ragione, e spesso quella ragione è stratificata, come in una narrativa postmoderna in cui ogni simbolo rimanda a qualcos’altro e a te resta il compito, o meglio la scelta, di seguirne i fili.
E qui sta forse la verità ultima di “NODI”: non è solo un pezzo, ma un dispositivo – estetico, emotivo, etico – che cerca di farti guardare dove normalmente non vuoi guardare. Dentro. Nelle zone d’ombra dove il piacere è ancora un campo minato, soprattutto se sei una donna. È una canzone che non fa rumore, ma scava. Che non urla, ma dichiara. Che non rassicura, ma disarma.
E allora ascoltarla – davvero, profondamente – è un po’ come sedersi in una stanza buia, con il cuore in mano, e una candela che non promette di farti vedere tutto, ma solo quello che serve per cominciare a sciogliere, uno a uno, i nodi che hai dentro.
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