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RECENSIONE: "CENTO TE"- IL VINISMO

  • Nicoletta Lupi
  • 14 mag
  • Tempo di lettura: 1 min

C’è un’urgenza silenziosa in questo testo, quasi un tentativo ostinato di dare forma al disordine. Si apre su contrasti imponenti, come se fosse l’inizio di una partita a scacchi tra energie primordiali. Ma invece di finire in un manuale di filosofia o in un film di Nolan, ti trascina altrove — in un territorio intimo, viscerale. Parla di identità, di confini tracciati da altri, e del momento in cui scegli di smantellarli per cercare, finalmente, chi sei davvero.


L’ispirazione viene dal libro Molte vite, un’anima sola di Brian Weiss, che qui diventa chiave e bussola. Come Weiss con l’ipnosi regressiva, il pezzo ti invita a tornare indietro, a guardarti da più angolazioni, a immaginare che dentro di te esistano cento versioni, cento te.


Il tutto si muove dentro coordinate sonore che affondano le radici nell’alternative folk tipico del cantautorato italiano, con arrangiamenti essenziali che lasciano spazio al messaggio, senza orpelli, senza filtri.


E mentre il testo si svela, arriva la voce. Profonda, ruvida quanto basta, che non ti assale: si insinua. Come chi ha vissuto davvero certe vertigini, e canta non per offrirti risposte, ma per raccontare come si possa restare dentro le domande senza fuggire. È una voce che non ti coccola, ma ti sussurra che la guerra interiore si può affrontare. E forse, vincere.


Alla fine, Cento Te non pretende di dirti chi sei. Ti suggerisce solo di iniziare a chiedertelo — sul serio, stavolta.

 
 
 

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